Cosenza: applausi al “Rendano” per la “La Cenerentola”, l’opera ha aperto la 59ma stagione lirica

Anna Franchino

I libri ci salveranno offrendoci il destro per continuare a sognare. Sembra questo il monito che arriva dall’allestimento de “La Cenerentola” di Gioachino Rossini andata in scena ieri sera al “Rendano”, titolo operistico di apertura della 59ma stagione lirica del teatro di tradizione cosentino. Un allestimento molto apprezzato dal pubblico che ha mostrato di gradire, con applausi convinti, la messa in scena in chiave moderna del regista Matteo Anselmi, ripresa da Giulio Leone, ma anche le splendide scene di Lorenzo Mazzoletti, autentico punto di forza di questa nuova versione dell’opera che assegna ai libri quella missione salvifica che consente alla bontà di trionfare, come evoca il titolo completo del dramma giocoso. Il regista Matteo Anselmi compie una scelta di campo, mostrando, già di primo acchito, a sipario appena aperto, tutta la gradevolezza dell’impianto scenico. Proteso nel riuscito sforzo di evidenziare la matrice fiabesca dell’opera (non è un caso che il leit-motiv di questa 59ma stagione lirica del “Rendano” sia proprio la favola in musica) il regista Anselmi riconduce la storia alla fonte letteraria della fiaba di Perrault. Lo testimonia la catasta di libri che fa da sfondo alla scena e che diventa di volta in volta lo spazio agìto da coro, cantanti e figuranti, mentre lo specchio nel quale, appena finita l’ouverture, Angelina-Cenerentola, in abito da donna delle pulizie, si riflette, prima di essere risucchiata nel vortice della fiaba, si trasforma, in men che non si dica, in una gigantesca pagina di libro dal quale prendono corpo personaggi e situazioni. Ma le trovate sceniche non si fermano qui. Intanto, si apprezza la scritta luminosa, quasi da locale notturno, di “Magnifico” con la O finale staccata dal resto che scende quasi fino alle tavole del palcoscenico, diventando il rifugio di Angelina, oppressa dalle angherie del padrone di casa e delle sorellastre. Il coup de theatre più evidente è però quell’autentico tableau vivant di tutto il cast vocale racchiuso in una cornice che nobilita la visione dello spettacolo. Il Rendano di Cosenza ha coprodotto questa “Cenerentola” con la Rete Lirica delle Marche, nella versione realizzata in collaborazione con il Rossini Opera Festival di Pesaro e l’Accademia musicale “Bernardo De Muro” di Tempio Pausania. La ripresa a Cosenza del fortunato allestimento del Rossini Opera Festival, che ha girato anche all’estero, con una puntata al Teatro Municipal di Lima, in Perù, è stata un’intuizione del direttore artistico della 59ma edizione della stagione lirica, Luigi Stillo che ha puntato con decisione sulle suggestioni di uno spettacolo che ha avuto unanimi consensi, come dimostrano ampiamente gli applausi raccolti al termine della “prima” rappresentazione che sarà seguita, domani, venerdì 1° novembre, dalla seconda ed ultima recita, alle ore 17,00. Di grande carattere la prova offerta dall’Orchestra Sinfonica Brutia che non perde occasione per dimostrare il suo valore e le sue ambizioni, diretta, in questa felice circostanza, da una bacchetta d’eccezione come Francesco Di Mauro, dalla solida esperienza internazionale, e che dal podio ha, con sicurezza e grande esperienza, guidato i 45 elementi dell’organico orchestrale, tutti in buca, tranne il piano verticoda collocato in barcaccia, per consentire al “continuista” di vedere i cantanti per accompagnarli adeguatamente durante i recitativi. Nel cast vocale si è lasciata apprezzare il mezzosoprano Anna-Doris Capitelli, nel ruolo della protagonista, che, nonostante la sua giovane età, è cantante di particolare esperienza, come dimostrano i suoi trascorsi scaligeri, ma anche la recente performance in Cina accanto a Placido Dominco. La sua Angelina è sorretta non solo da eccellenti qualità vocali, venute prepotentemente fuori nel rondò finale “Nacqui all’affanno”, ma anche da una notevole presenza scenica che ne mette in luce le propensioni alla gestualità propria degli attori. Non ha deluso le aspettative il Don Magnifico del baritono siciliano Paolo Ingrasciotta, sugli scudi per tutto lo spettacolo. Completavano il cast il tenore astigiano Enrico Iviglia (Don Ramiro), il baritono William Hernandez (Dandini) e, nei ruoli delle sorellastre Tisbe e Clorinda, rispettivamente il mezzosoprano Giulia Alletto e il soprano Sarah Baratta, particolarmente a loro agio e divertenti nella recitazione, con una dose insistita di applausi proprio per la cosentina Sarah Baratta cui sono andate le simpatie del pubblico di casa. Discorso a parte merita il basso Matteo D’Apolito, nei panni di Alidoro, quasi un sensale di nozze o un folletto shakespeariano che aleggia sulla e nella storia, determinando i destini dei protagonisti e compiacendosi dell’happy end. Un cast che ha complessivamente dribblato tutte le difficoltà di una partitura tutt’altro che agevole come quella del compositore pesarese. Lo spettacolo spinge sull’acceleratore della modernità e lo si nota da una serie di fattori: dagli addetti alle pulizie in tuta da lavoro (simpatica la trovata della scritta, sul retro della stessa tuta, “Alidoro service”) che in un paio di circostanze “scarrellano” Cenerentola riportandola sulla terra, mentre invece la sua massima aspirazione è continuare a sognare e ad assaporare la magia della fiaba; ma anche da alcuni costumi, dai colori accesi e variopinti, disegnati da Viola Sartoretto: come quelli indossati da Dandini, nei panni di Don Ramiro o il rosa di Angelina, per non parlare delle esagerate parrucche di Tisbe e Clorinda che danno al tutto una coloritura al limite del grottesco, egregiamente sorretta anche dal disegno luci di Silvia Vacca e Massimiliano Prete. Menzione speciale per il coro, il Lirico “Francesco Cilea” diretto da Bruno Tirotta, che non perde un colpo contribuendo ad accrescere la dimensione fiabesca del dramma giocoso, presentando i suoi elementi ora in calzoni corti (a metà strada tra un gruppo di boy-scout o tirolesi) e fiocco rosso da primo giorno di scuola, ora assumendo le sembianze di tanti Pinocchi, quando sfoggiano l’inconfondibile copricapo del personaggio collodiano. Insomma, la fiaba nella fiaba che alla fine mette tutti d’accordo. La bontà è in trionfo e il pubblico lascia i velluti del Rendano soddisfatto.

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