Magistrato arrestato: procedura disciplinare per avvocati

Anna Franchino


Il Consiglio dell’Ordine distrettuale degli Avvocati di Catanzaro ha trasmesso al Consiglio distrettuale di disciplina gli atti relativi agli avvocati coinvolti nell’inchiesta della Procura di Salerno che ha portato all’arresto del giudice della Corte d’appello di Catanzaro Marco Petrini con l’accusa di corruzione in atti giudiziari. In riferimento “alle recenti indagini che hanno visto coinvolti componenti della magistratura ed alcuni avvocati calabresi”, l’Ordine, in un documento, sottolinea “il doveroso rispetto del principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza ed al contempo la necessità di attendere le verifiche da parte dell’autorità giudiziaria in ordine alle ipotesi accusatorie formulate a carico degli indagati. Il corretto e trasparente esercizio della giurisdizione, della quale l’Avvocatura è protagonista irrinunciabile – prosegue il documento – rappresenta la forma più alta di tutela e garanzia dei diritti e di rispetto verso i cittadini. Il ricorso, invero, a condotte deviate o, ancor peggio, poste in violazione della Legge, rappresenta un vulnus dell’intero sistema giudiziario e, quindi, dello Stato di diritto. Tra i compiti e le prerogative del Consiglio dell’Ordine è prevista la vigilanza sulla condotta degli iscritti anche attraverso la trasmissione degli atti al Consiglio distrettuale di disciplina, per come già avvenuto per i casi oggetto della presente delibera e, ciò a tutela del decoro e dell’immagine stessa dell’Avvocatura e della sua funzione sociale, che, in caso di accertamento dei gravi fatti oggetto della recente cronaca giudiziaria, risulterebbero gravemente compromessi. Gli avvocati, pertanto, hanno tutto l’interesse acché le decisioni assunte dagli organi giudiziari siano sempre basate sulla totale imparzialità e sul corretto riconoscimento delle ragioni in contesa, in piena conformità alle norme di diritto e agli strumenti che la legge consente per farle valere. Il Consiglio rimarca con fermezza la generale correttezza degli iscritti all’Ordine di Catanzaro, ricordando la grande tradizione di professionalità e di cultura del Foro catanzarese, riconosciuta in tutta Italia, auspicando che qualsivoglia zona d’ombra nell’ambiente giudiziario della nostra sede, se riconosciuta e provata e da qualunque parte essa provenga, sia al più presto e senza riserve rimossa e sanzionata. E’ doveroso sottolineare che trascendere nei commenti rispetto ai fatti addebitati ai singoli soggetti coinvolti, specie in questa fase, costituisce una ulteriore forma di debolezza dell’Avvocatura, che deve pur sempre rispettare la continenza formale e sostanziale del suo agire, nel pieno rispetto dei valori e dei principi a cui la stessa deve ispirarsi”. “Il Consiglio dell’Ordine – conclude il documento – sarà sempre dalla parte ed a sostegno di quell’Avvocatura sana, che opera attraverso i modelli legali e che costituisce la totalità degli iscritti, nel mentre sarà pronto ad assumere posizioni forti ed incisive nei confronti di coloro che anche solo tenteranno di alterare l’esercizio regolare e legale della giurisdizione e si riserva, ove ne ricorreranno le condizioni di legge, di costituirsi parte civile nei confronti di coloro che con la loro condotta avranno leso l’immagine ed il decoro dell’Avvocatura”. Intanto il Giudice della Corte d’appello di Catanzaro, Marco Petrini, arrestato mercoledì scorso con l’accusa di corruzione in atti giudiziari ha dichiarato: era frutto di un prestito il denaro trovato. A spiegarlo è stato lo stesso magistrato nel corso dell’interrogatorio di garanzia cui é stato sottoposto dal Gip di Salerno, assistito dagli avvocati Agostino De Caro e Ramona Gualtieri, rispettivamente del Foro di Salerno e del Foro di Lamezia Terme. Petrini ha anche respinto l’accusa di essere stato legato ad un penalista di Catanzaro in una vicenda giudiziaria in cui l’avrebbe favorito. In realtà, ha riferito il giudice, con il penalista non c’é stato alcun intreccio illecito, tanto che in quella vicenda sono stati comminati tre ergastoli dopo che in primo grado due imputati erano stati condannati a trent’anni ed uno era stato assolto. Il giudice ha anche sostenuto che nessun provvedimento da lui adottato può essergli addebitato come illecito. Petrini ha anche replicato alla contestazione secondo cui non avrebbe ammesso l’esame di un pentito, Emanuele Mancuso, in forza di un “rapporto intimo” con una penalista. In quel processo, in realtà, ha sostenuto Petrini, furono ammessi altri cinque pentiti, mentre il collaboratore non ammesso era stato citato per fatti che nulla avevano a che vedere con quello in corso di giudizio. Lo stesso giudice ha aggiunto che in ogni caso quel processo si era concluso con una sentenza di condanna.

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