La Guardia di Finanza di Pavia, con la collaborazione del Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata di Roma e supportato da reparti della Lombardia, Piemonte e Calabria, ha eseguito 13 ordinanze di custodia cautelare emesse dal Gip del Tribunale di Milano nei confronti di persone vicine a storiche famiglie ‘ndranghetiste originarie di Platì e radicatesi nel Nord Italia, nei territori a cavallo tra le province di Pavia, Milano, Monza Brianza e Torino.
Le accuse contestate vanno, a vario titolo, dall’associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti alla detenzione e porto di armi da sparo, fino ad episodi di estorsione perpetrati in Lombardia con l’aggravante del metodo mafioso.
L’attività investigativa, iniziata nella primavera del 2019, è stata caratterizzata dal costante monitoraggio dei soggetti originari del reggino e da tempo stanziatisi nei territori compresi tra le province di Pavia e Milano, dove avrebbero operato seguendo condotte tipicamente mafiose. Infatti, le attività investigative hanno registrato ripetute attività estorsive nei confronti di soggetti che ritardavano a pagare lo stupefacente, ricorrendo alla forza.
Gli indagati avrebbero trattato considerevoli quantitativi di cocaina e marijuana, immessi nella rete di distribuzione, vendita e consumo anche con l’intento di rifornire gruppi criminali della Lombardia, del Piemonte, della Liguria e della Toscana. Non sarebbero risultate estranee a queste ultime dinamiche criminali alcune figure femminili, congiunte dei principali indagati, che pur svolgendo una funzione secondaria, hanno comunque dato un contributo reale ed effettivo per la commissione dei reati.
Il clan aveva la disponibilità di armi automatiche, come i noti mitragliatori Kalashnikov, riforniti da un’altra cellula calabrese collegata. Per rendere, poi, difficile l’individuazione dei proventi delle attività delittuose e poter sfuggire ad una eventuale aggressione patrimoniale da parte dello Stato, il sodalizio criminale avrebbe utilizzato società di servizi ed imprese edili, costituite ad hoc ma di fatto inattive, che tramite l’emissione di fatture false avrebbero potuto occultare i proventi illeciti sfruttando anche la complicità di un professionista per presentare bilanci e dichiarazione dei redditi opportunamente “adattati”.