‘Ndrangheta, Rizzi a Cosenza: “nostra forza da esperienza trentennale”

Anna Franchino

“Le mafie sono cambiate e pensare di approcciare alla ‘ndrangheta come si approcciava 30 anni fa significa parlare di archeologia criminale. Il mondo è cambiato e le mafie sono cambiate, l’elemento di forza dell’Italia e della Calabria è che noi veniamo da trent’anni di lotta alle mafie e credo che oggi si insabbi molto meno nel nostro Paese che in altre realtà dove il fenomeno è ancora poco conosciuto”. A dirlo il prefetto Vittorio Rizzi, vicedirettore generale della Polizia di Stato – direttore Centrale della Polizia Criminale a Cosenza, a margine della presentazione del libro “Investigare 4.0”. “Il fatto stesso che oggi la criminalità parli con chat criptate – ha aggiunto – è segno che è cambiato il mondo e il modo di comunicare. Oggi dobbiamo confrontarci anche con un tema di carattere giuridico su come si gestisce un’indagine nella fase cosiddetta live su una piattaforma criptata. Ci stiamo confrontando con i colleghi europei dove questo tipo di esperienze sono in corso. Dunque, di fronte a una criminalità organizzata che un tempo la immaginavamo calabrese, poi l’abbiamo immaginata italiana e adesso la immaginiamo globale si risponde con un’alleanza globale tra le forze di polizia”. “Siamo in Calabria ha affermato poi Rizzi – una terra splendida, ma dove la ‘ndrangheta ha rappresentato e rappresenta un problema criminale molto importante. La Calabria è una terra più sicura rispetto per esempio ad altre parti del mondo, perché in Italia esiste una normativa di prevenzione molto efficace, esiste la possibilità di intercettare una impresa mafiosa e non farla partecipare ad un appalto pubblico”. Parlando del libro, Rizzi ha detto che “raccoglie l’esperienza che 27 tra funzionari di polizia, giornalisti e anche un collega dell’Arma dei carabinieri hanno voluto condividere. Quindi un’esperienza nel mondo della criminologa, delle investigazioni e nella ricerca delle tracce del reato, che diventa anche un profilo accademico e diventa una sorta di restituzione professionale. Il rapporto con i media è cambiato tanto. Il giornalismo investigativo, che in altri Paesi del mondo è assolutamente motore anche di cambiamenti culturali e sociali, merita la nostra attenzione, e dobbiamo in qualche modo dialogare, cercando un codice di dialogo con il mondo della stampa e dell’ investigazione”.

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