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L’effigie del volto di Natuzza, realizzata dai detenuti della Casa Circondariale di Catanzaro, è stata donata al vescovo della Diocesi di Mileto, Nicotera, Tropea mons. Attilio Nostro, in occasione della dedicazione della chiesa di Paravati organizzata della Fondazione del Cuore Immacolato di Maria, rifugio delle anime. La cerimonia di consegna dell’opera si è svolta, a Paravati di Mileto dove sorge la nuova chiesa, alla presenza del direttore del carcere Angela Paravati, del magistrato di sorveglianza Angela Cerra e di due detenuti in rappresentanza dei fedeli della comunità dei detenuti.
“Mons. Attilio Nostro, rivolgendosi a quanti sono ristretti in carcere – è detto in un comunicato della Casa circondariale – ha pronunciato parole di conforto e di speranza ricordando la semplicità della fede della stessa mistica di Paravati, la sua vicinanza agli ultimi, alle persone più bisognose, ed in particolare ai detenuti, anche per un’infanzia triste, e per la tragica vicenda della mamma, poverissima e a sua volta madre di molti figli, che si racconta sia stata arrestata per il presunto furto di una gallina”. “Natuzza da piccola – è scritto nel comunicato – aveva conosciuto sia la fame che il carcere. I suoi due padri spirituali, don Michele e don Pasquale, hanno ricordato la profonda umanità, che unita alla fede, è riuscita a rendere questa piccola donna semplice un simbolo straordinario di umiltà e di fede”.
“Le persone detenute nel carcere di Catanzaro, nel loro percorso rieducativo – ha detto la direttrice del carcere Angela Paravati – trovano in questa persona un punto di riferimento, un modello da seguire, perché anche dalla sofferenza può nascere un profonda capacità di amare, di volere il bene del prossimo. E l’attenzione al prossimo è la premessa per qualsiasi forma di reinserimento sociale”.
“Le persone detenute nel carcere di Catanzaro, nel loro percorso rieducativo – ha detto la direttrice del carcere Angela Paravati – trovano in questa persona un punto di riferimento, un modello da seguire, perché anche dalla sofferenza può nascere un profonda capacità di amare, di volere il bene del prossimo. E l’attenzione al prossimo è la premessa per qualsiasi forma di reinserimento sociale”.