Il “modo di essere” della ‘ndrangheta in Lombardia è caratterizzato dalla “convivenza e, a tratti”, dalla “cooperazione” di “più micro-organismi, dotati di autonomia operativa, all’interno del medesimo territorio”, i cui “aderenti perseguono interessi individuali, non di rado entrando in competizione tra loro”. Il tutto “mantenendo però sempre forme di solidarietà collettiva e cooperazione, che costituiscono la condizione imprescindibile” affinché la “unica associazione” mafiosa “sopravviva” e “possano proseguirne i traffici illeciti”.
È quanto scrive il Tribunale di Como in un capitolo, intitolato “Le linee di tendenza della ‘ndrangheta in Lombardia”, delle motivazioni della sentenza con cui a fine aprile ha inflitto otto condanne, anche per associazione mafiosa, fino a 16 anni e 10 mesi di reclusione e ha assolto tre persone nel processo scaturito dal maxi blitz “Cavalli di razza” conto la ‘ndrangheta nel Comasco. Indagine coordinata dai pm della Dda di Milano Pasquale Addesso e Sara Ombra che nel filone con rito abbreviato aveva già portato a 34 condanne per un totale di oltre 200 anni. Dall’inchiesta, scrivono i giudici, è stato “sfatato il falso mito della ‘ndrangheta che, come un male serpeggiante, si infiltra in un tessuto economico sano, contaminandolo”. È emersa, invece, una “imprenditoria che non si limita a ‘subire’ la ‘ndrangheta, ma si pone in affari con la stessa, spesso prendendo l’iniziativa” e ricavandone “vantaggi”.