Il Tar di Catanzaro ha accolto il ricorso presentato dal Consiglio dei ministri tramite l’Avvocatura generale dello Stato contro l’ordinanza del presidente della Regione Calabria Jole Santelli, del 29 aprile scorso, che consentiva il servizio ai tavoli, se all’aperto, per bar, ristoranti ed agriturismo. E’ quanto si evince dopo l’udienza collegiale, tenuta in camera di consiglio, svoltasi stamani. Di seguito l’ordinanza.
Pubblicato il 09/05/2020
- 00841/2020 REG.PROV.COLL. N. 00457/2020 REG.RIC.
R E P U B B L I C A I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 c.p.a.
sul ricorso numero di registro generale 457 del 2020, proposto da
Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente in
carica, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Distrettuale dello
Stato di Catanzaro, domiciliata presso gli uffici di questa, in
Catanzaro, alla via G. da Fiore, n. 34;
contro
Regione Calabria, in persona del Presidente in carica, rappresentata
e difesa dagli avvocati Andrea Di Porto, Massimiliano Manna,
Oreste Morcavallo, con domicilio digitale come da PEC da
Registri di Giustizia;
nei confronti
Ristorante di Pesce a Rende S.r.l. Semplificata, non costituita in
giudizio;
e con l’intervento di
ad adiuvandum:
Comune di Reggio di Calabria, in persona del Sindaco in carica,
rappresentato e difeso dall’avvocato Emidio Morabito, con
domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
ad opponendum:
Comune di Amendolara, in persona del Sindaco in carica,
rappresentato e difeso dagli avvocati Giancarlo Pompilio e Claudia
Parise, con domicilio digitale come da PEC da Registri di
Giustizia;
Comune di Tropea, in persona del Sindaco in carica, rappresentato
e difeso dagli avvocati Giovanni Spataro e Renato Rolli, con
domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
CODACONS – Coordinamento delle Associazioni e dei Comitati
di Tutela dell’Ambiente e dei Diritti degli Utenti e dei
Consumatori, in persona del legale rappresentante pro tempore,
rappresentato e difeso dagli avvocati Gino Giuliano, Carlo Rienzi,
con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Pasticceria Siciliana di Nicocia J.&C. S.n.c. in persona del legale
rappresentante pro tempore, La Cambusa S.a.s. di Montalto Dino
& C. in persona del legale rappresentante pro tempore, Francesco
Covello, Carmelo Pirri, rappresentati e difesi dagli avvocati
Fabrizio Criscuolo, Mauro Fortunato Magnelli, con domicilio
digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per l’annullamento
dell’ordinanza del Presidente della Regione Calabria del 29 aprile
2020, n. 37, recante «Ulteriori misure per la prevenzione e
gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-2019.
Ordinanza ai sensi dell’art. 32, comma 3, della legge 23 dicembre
1978, n. 833 in materia di igiene e sanità pubblica: Disposizioni
relative alle attività di ristorazione e somministrazione di alimenti
e bevande, attività sportive e amatoriali individuali e agli
spostamenti delle persone fisiche nel territorio regionale», in
relazione al suo punto 6, nel quale è stato disposto che, a partire
dalla data di adozione dell’ordinanza medesima, sul territorio della
Regione Calabria, è «consentita la ripresa delle attività di Bar,
Pasticcerie, Ristoranti, Pizzerie, Agriturismo con
somministrazione esclusiva attraverso il servizio con tavoli
all’aperto».
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione Calabria;
Visti gli atti di intervento;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2020 il
dott. Francesco Tallaro e trattenuta la causa in decisione ai sensi
dell’art. 84, comma 5 d.l. 17 marzo 2020, n. 18, conv. con mod con
- 24 aprile 2020, n. 27;
Rilevato in fatto e ritenuto in diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
I – L’iter processuale
- – Oggetto dell’odierno giudizio è l’ordinanza del Presidente
della Regione Calabria del 29 aprile 2020, n. 37.
Con tale provvedimento, adottato ai sensi dell’art. 32, comma 3 l.
23 dicembre 1978, n. 833, sono state dettate misure per la
prevenzione e la gestione dell’emergenza epidemiologica da
COVID-19.
In particolare, si controverte della legittimità del punto n. 6, con il
quale è stato disposto che, sin dalla data di adozione
dell’ordinanza, è consentita, nel territorio della Regione Calabria,
la ripresa dell’attività di ristorazione, non solo con consegna a
domicilio e con asporto, ma anche mediante servizio al tavolo,
purché all’aperto e nel rispetto di determinate precauzioni di
carattere igienico sanitario.
- – Ad impugnare l’ordinanza, chiedendone l’annullamento a
questo Tribunale Amministrativo Regionale, è stata la Presidenza
del Consiglio dei Ministri, con ricorso notificato a mezzo PEC e
depositato il 4 maggio 2020.
Ha resistito la Regione Calabria, la quale si è costituita nella
medesima data.
- – Unitamente al ricorso è stata proposta domanda cautelare di
sospensione degli effetti dell’ordinanza, nella parte impugnata,
accompagnata dalla richiesta di decreto cautelare monocratico ai
sensi dell’art. 56 c.p.a.
In data 5 maggio 2020 il Presidente di questo Tribunale
Amministrativo Regionale ha sentito informalmente e
separatamente le difese delle amministrazioni.
Esse, nell’interesse generale della giustizia, avuto riguardo
oltretutto alla delicatezza dei temi trattati in ricorso, che toccano i
rapporti fra Stato e Regioni dal punto di vista dei rispettivi poteri di
intervento nell’attuale drammatica fase epidemica in atto, hanno
concordato sulla necessità di addivenire in tempi molto brevi a una
decisione collegiale, eventualmente anche quale sentenza in forma
semplificata ai sensi dell’art. 60 c.p.a.
Pertanto, l’Avvocatura dello Stato ha rinunciato all’istanza di tutela
cautelare monocratica ai sensi dell’art. 56 c.p.a.; entrambe le parti
hanno rinunciato ai termini a difesa di cui all’art. 55, comma 5
c.p.a.
- – È stata dunque fissata la camera di consiglio del 9 maggio
- – Al giudizio hanno inteso intervenire anche altre
amministrazioni.
In particolare, in data 6 maggio 2020 si è costituito, ad
adiuvandum, il Comune di Reggio Calabria; al contrario, si sono
costituiti ad opponendum nella medesima data del 6 maggio 2020
il Comune di Amendolara e nella successiva data del 7 maggio
2020 il Comune di Tropea.
In data 7 maggio 2020 si è costituito ad opponendum anche
CODACONS – Coordinamento delle associazioni e dei comitati di
tutela dell’ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori.
In data 8 maggio 2020 si sono costituiti, in pretesa applicazione
dell’art. 28, comma 1 c.p.a., alcuni operatori del settore della
ristorazione, meglio individuati nell’epigrafe della sentenza.
In vista della decisione la Presidenza del Consiglio dei Ministri e la
Regione Calabria hanno depositato memorie ad ulteriore supporto
delle argomentazioni difensive utilizzate.
- – Il ricorso è stato trattato collegialmente in data 9 maggio 2020
ai sensi dell’art. 84, comma 5 d.l. 17 marzo 2020, n. 18, conv. con
mod con l. 24 aprile 2020, n. 27, e, ricorrendone i presupposti, è
stato deciso nel merito ai sensi dell’art. 60 c.p.a.
II – Le posizioni delle parti
- – La Presidenza del Consiglio dei Ministri ha dedotto
l’illegittimità dell’ordinanza impugnata, nella parte di interesse,
sotto tre diverse prospettive.
7.1. – In primo luogo, essa violerebbe gli artt. 2, comma 1, e 3,
comma 1 d.l. 25 marzo 2020, n. 19, e sarebbe stata emanata in
carenza di potere per incompetenza assoluta.
Infatti, l’art. 2, comma 1 dell’atto normativo citato attribuisce la
competenza ad adottare le misure urgenti per evitare la diffusione
del COVID-19 e le ulteriori misure di gestione dell’emergenza al
Presidente del Consiglio dei ministri, che provvede con propri
decreti previo adempimento degli oneri di consultazione
specificati.
Per quel che rileva, il Presidente del Consiglio dei Ministri ha
provveduto con d.P.C.M. del 26 aprile 2020 che, con efficacia dal 4
maggio 2020 al 17 maggio 2020, dispone la sospensione delle
attività dei servizi di ristorazione (fra cui bar, pub, ristoranti,
gelaterie, pasticcerie) e, in via di eccezione, consente la
ristorazione con consegna a domicilio nel rispetto delle norme
igienico-sanitarie sia per l’attività di confezionamento che di
trasporto, nonché la ristorazione con asporto, fermo restando
l’obbligo di rispettare la distanza di sicurezza interpersonale di
almeno un metro, il divieto di consumare i prodotti all’interno dei
locali e il divieto di sostare nelle immediate vicinanze degli stessi.
Come visto, l’ordinanza regionale, in contrasto con quanto
disposto dal d.P.C.M., ha autorizzato anche la ristorazione con
servizio al tavolo.
Ma tale intervento integrativo non sarebbe consentito dalla
normativa applicabile, in quanto l’art. 3, comma 1 d.l. n. 19 del
2020 prevede che le Regioni possano adottare misure di efficacia
locale «nell’ambito delle attività di loro competenza e senza
incisione delle attività produttive e di quelle di rilevanza strategica
per l’economia nazionale», ma tale potere è subordinato a tre
condizioni, e cioè che si tratti di interventi destinati a operare nelle
more dell’adozione di un nuovo d.P.C.M.; che si tratti di interventi
giustificati da «situazioni sopravvenute di aggravamento del
rischio sanitario» proprie della Regione interessata; che si tratti di
misure «ulteriormente restrittive» delle attività sociali e produttive
esercitabili nella regione.
Né l’ordinanza impugnata potrebbe trovare fondamento nell’art.
32, comma 3 l. n. 833 del 1978, e perché derogato dalla disciplina
dettata dal d.l. n. 19 del 2020, e perché l’emergenza sanitaria ha
carattere nazionale, e dunque impone l’intervento da parte del
Governo centrale.
7.2. – Con il secondo motivo di ricorso si deduce che l’ordinanza
sarebbe priva di un’adeguata motivazione, non sarebbe stata
supportata da una valida istruttoria, sarebbe illogica e irrazionale.
In particolare, non emergerebbero condizioni peculiari che
giustifichino, nel solo territorio della Regione Calabria,
l’abbandono del principio di precauzione; non sarebbe stato
adottato un valido metodo scientifico nella valutazione del rischio
epidemiologico; si porrebbe a rischio la coerente gestione della
crisi epidemiologica da parte del Governo.
7.3. – Infine, l’ordinanza sarebbe viziata da eccesso di potere,
evidenziato dalla violazione del principio di leale collaborazione.
Invero, l’ordinanza sarebbe stata emessa in assenza di qualunque
interlocuzione con il Governo.
- – La Regione Calabria ha posto una questione pregiudiziale di
giurisdizione e si è difesa nel merito.
8.1. – Pregiudizialmente ha dedotto che il ricorso è volto ad
assumere che l’ordinanza del Presidente della Regione Calabria
invada una sfera di attribuzioni propria del Governo centrale,
sottraendogli così la possibilità di esercizio di una propria
prerogativa.
La controversia assumerebbe, così, un tono costituzionale che
attribuirebbe la giurisdizione alla Corte costituzionale, quale
giudice dei conflitti di attribuzione ai sensi dell’art. 134 Cost.
8.2. – Nel merito, l’ordinanza impugnata troverebbe un sicuro
fondamento nell’art. 32, comma 3 l. n. 833 del 1978 e sarebbe
pienamente informata ai principi di adeguatezza e proporzionalità
espressamente richiamati dall’art. 1, comma 2 d.l. n. 19 del 2020, i
quali richiedono di modulare i provvedimenti volti al contrasto
dell’epidemia al rischio effettivamente presente su specifiche parti
del territorio.
Al contrario, a tali principi non si conformerebbe il d.P.C.M. del 26
aprile 2020, che sottopone a una disciplina unitaria tutto il
territorio nazionale, senza tener conto delle differenze fattuali.
Peraltro lo strumento normativo utilizzato dal Governo (un
d.P.C.M.) sarebbe palesemente inadeguato perché la Costituzione
non prevede la delegabilità dei poteri di decretazione d’urgenza di
cui all’art. 77 Cost.
8.3. – Per altro verso, la regolamentazione dettata dal Presidente
della Regione Calabria non sarebbe in contrasto con il contenuto
del d.P.C.M. del 26 aprile 2020, essendo invece da interpretare
quale disposizione di dettaglio della medesima, in funzione delle
specificità della situazione epidemiologica presente nel territorio
regionale ed in presenza di alcune “misure minime” da adottare a
tutela della salute pubblica e del rischio di contagio.
Il ricorso, dunque, non dovrebbe essere esaminato per difetto di
interesse.
8.4. – Infine, l’ordinanza sarebbe supportata da un impianto
motivazionale sufficiente, nel quale si dà atto che l’analisi dei dati
prodotta dal Dipartimento Tutela della Salute e Politiche Sanitarie
della Regione Calabria ha fatto rilevare, alla data del 27 aprile
2020, un valore del Rapporto di replicazione (Rt) con daily time
lag a 5 giorni, pari a 0,63; in generale, valori inferiori ad 1
indicano che la diffusione dell’infezione procede verso la
regressione.
- – Gli interventori hanno arricchito il giudizio con le loro
deduzioni.
9.1. – Il Comune di Reggio Calabria, invero, ha inteso condividere
in tutto i contenuti del ricorso presentato dalla Presidenza del
Consiglio dei Ministri.
9.2. – Il Comune di Amendolara ha aderito all’eccezione di difetto
di giurisdizione di questo giudice amministrativo in favore della
Corte costituzionale e ha affermato l’infondatezza dei motivi di
ricorso.
Ha aggiunto che il d.l. n.19 del 2020, al quale non sarebbe aderente
l’ordinanza del Presidente della Regione, sarebbe in contrasto con
gli artt. 77, 13, 14, 15, 16, 17 e 41, 117, co. 3 e 120, co. 2, Cost.
Partendo dal presupposto che l’ordinamento costituzionale italiano
non prevede lo “stato di emergenza”, la normativa in questione
sarebbe in contrasto con gli artt. 77, 13, 14, 15, 16, 17 e 41 Cost. in
quanto demanderebbe al Presidente del Consiglio dei Ministri il
potere di limitare le libertà garantite dalla Costituzione.
Peraltro, si tratterebbe di normativa non essenziale per affrontare
l’attuale stato di emergenza, in quanto nell’ordinamento sono
contemplate diverse ipotesi in cui è consentita l’emanazione di
ordinanze contingibili e urgenti per affrontare situazioni urgenti.
Sotto altro profilo, il d.l. n.19 del 2020 priverebbe le Regioni della
potestà normativa concorrente in materia di salute, prevista
dall’art. 117 Cost. e rappresenterebbe esercizio di potere sostitutivo
da parte dello Stato non previsto dall’art. 120 Cost.
9.3. – Il Comune di Tropea ha aderito anch’esso all’eccezione
pregiudiziale di difetto di giurisdizione.
Ha poi eccepito l’illegittimità costituzionale del d.l. n. 19 del 2020,
che rappresenterebbe un indebito esercizio di potere sostitutivo da
parte dello Stato in violazione degli artt. 117, comma 5 e 120 Cost.,
e una violazione dei principi di sussidiarietà e leale cooperazione.
Nel merito, l’ordinanza sarebbe giustificata dall’art. 32, comma 3 l.
- 833 del 1978 e sarebbe coerente con i principi di adeguatezza e
proporzionalità, violati invece dalla decisione del Governo di
predisporre una disciplina unitaria per tutto il territorio nazionale.
L’ordinanza avrebbe alla base l’analisi dei dati epidemiologici
regionali e, a ben guardare, nemmeno si porrebbe in contrasto con
il d.P.C.M. del 26 aprile 2020, di cui è mera specificazione.
9.4. – CODACONS ha argomentato nel senso che la lite,
qualificabile in termini di conflitto di attribuzioni, sarebbe devoluta
ai sensi dell’art. 134 Cost. alla giurisdizione della Corte
costituzionale, cui ha chiesto di trasmettere gli atti.
9.5. – Gli operatori della ristorazione, infine, si sono qualificati in
termini di controinteressati e, costituitisi ai sensi dell’art. 28,
comma 1, hanno domandato il differimento dell’udienza camerale
con assegnazione di termini per poter esercitare correttamente i
proprio diritto di difesa.
Nel merito, hanno aderito alle tesi difensive della Regione
Calabria.
9.6. – Va infine notato che la Regione Calabria, nella memoria
depositata in data 9 maggio 2020, ha lamentato di non aver potuto
prendere posizione sui numerosi interventi che si sono succeduti e
ha invitato il Tribunale a valutare se, rispetto a tale vulnus al diritto
di difesa, si rendesse necessario o anche solo opportuno, un
differimento della Camera di consiglio.
III – Le questioni pregiudiziali e preliminari
III.1. – La questione di giurisdizione
- – È opinione del Tribunale di essere dotato di giurisdizione sul
ricorso proposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Tale conclusione si basa su tre, concatenate osservazioni.
10.1. – È innegabile che il provvedimento emanato dal Presidente
della Regione Calabria abbia natura di ordinanza contingibile e
urgente in materia di igiene e sanità, nel quadro della disciplina
dettata dall’art. 32 l. n. 833 del 1978.
Si tratta, dunque, di esercizio di potere amministrativo, sul quale il
sindacato giurisdizionale è naturalmente attribuito al giudice della
funzione pubblica, cioè il giudice amministrativo.
10.2. – Il fatto che le ragioni di illegittimità dedotte da parte
ricorrente siano inerenti anche ai confini delle attribuzioni
assegnate ai diversi poteri dello Stato non è sufficiente ad attribuire
alla controversia un tono costituzionale.
In proposito, si richiama la costante giurisprudenza della Corte
costituzionale, secondo la quale il tono costituzionale del conflitto
sussiste quando il ricorrente non lamenti una lesione qualsiasi, ma
una lesione delle proprie attribuzioni costituzionali (ex plurimis,
Corte cost. 14 febbraio 2020; Id. 14 febbraio 2018, n. 28; Id. 15
maggio 2015, n. 87; Id. 28 marzo 2013, n. 52).
È stato, in particolare, chiarito (da Corte cost. 29 ottobre 2019, n.
224) che non basta che nella materia in questione vengano in gioco
competenze e attribuzioni previste dalla Costituzione, perché la
controversia assuma un tono costituzionale. La natura
costituzionale delle competenze, infatti, così come il potere
discrezionale che ne connota i relativi atti di esercizio, non esclude
la sindacabilità nelle ordinarie sedi giurisdizionali degli stessi atti,
quando essi trovano un limite «nei principi di natura giuridica
posti dall’ordinamento, tanto a livello costituzionale quanto a
livello legislativo» (Corte cost. 5 aprile 2012, n. 81 del 2012).
Ebbene, il ricorso con il quale è stato innescato il sindacato
giurisdizionale da parte di questo Tribunale Amministrativo
Regionale fa valere la dedotta violazione, da parte del Presidente
della Regione Calabria, dei limiti che dalla legge, e in particolare
dal d.l. 25 marzo 2020, n. 19, derivano all’esercizio delle
competenze in materia di igiene e sanità spettanti al Presidente
della Regione Calabria.
In questa prospettiva, l’atto è giustiziabile d’innanzi al giudice
della funzione pubblica, giacché questo giudice non è chiamato a
regolare il conflitto sulle attribuzioni costituzionali tra gli Enti
coinvolti nella controversia, ma solo a valutare la legittimità,
secondo i parametri legislativi indicati nei motivi di ricorso,
dell’atto impugnato.
10.3. – In ogni caso, se pure si opinasse che nel caso di specie
fosse attivabile, da parte della Presidenza del Consiglio dei
Ministri, il conflitto di attribuzione d’innanzi alla Corte
costituzionale, ciò non esclude che sia legittimamente esperibile
anche la via del ricorso d’innanzi al giudice amministrativo.
Secondo il costante insegnamento delle Sezioni Unite della Corte
di Cassazione (cfr. Cass. Civ., Sez. Un., 19 luglio 2013, n. 17656;
in precedenza, Id. 20 maggio 1978, n. 2492; Id. 28 maggio 1977, n.
2184; Id. 13 dicembre 1973, n. 3379; Id. 10 novembre 1973, n.
2966), infatti, vi è diversità di struttura e finalità fra il giudizio per
conflitto di attribuzione tra Stato e Regione ed il sindacato
giurisdizionale davanti al giudice amministrativo: il primo è
finalizzato a restaurare l’assetto complessivo dei rispettivi ambiti di
competenza degli Enti in conflitto; il secondo, viceversa, si svolge
sul piano oggettivo di verifica di legalità dell’azione
amministrativa, con l’esclusivo scopo della puntuale repressione
dell’atto illegittimo. Ciò comporta la possibilità della loro
simultanea proposizione, sicché deve escludersi che in tali ipotesi
sussista difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.
Anche il Consiglio di Stato (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 27 dicembre
2011, n. 6834), dal canto suo, ha affermato che il soggetto
legittimato ad impugnare l’atto autoritativo dinanzi al giudice
amministrativo può valutare se sussistono i presupposti per
sollevare un conflitto di attribuzione, ovvero se avvalersi del
rimedio di carattere generale della giurisdizione generale di
legittimità. Tale conclusione risulta corroborata dalla
considerazione per cui, mentre la Corte costituzionale può decidere
le censure attinenti al riparto delle attribuzioni, il giudice
amministrativo, ai sensi dell’art. 113 Cost., può decidere su ogni
profilo di illegittimità dell’atto, anche su dedotti aspetti di eccesso
di potere, sicché, anche per esigenze di concentrazione, l’Ente in
conflitto ben può scegliere se, anziché proporre due giudizi e
devolvere alla Corte costituzionale l’esame dei profili
sul difetto di attribuzione, sia il caso di proporre un solo ricorso al
giudice amministrativo, deducendo tutti i possibili motivi di
illegittimità dell’atto.
III.2 – Le condizioni dell’azione
- – Benché la Regione Calabria non abbia contestato la
legittimazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri a
ricorrere nel caso di specie al giudice amministrativo, la verifica
delle sussistenza di tale condizione dell’azione deve essere operata
d’ufficio.
11.1. – Il Tribunale ritiene, dunque, di dover esplicitare che sussiste
la legittimazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri a
impugnare un’ordinanza ex art. 32, comma 3 l. n. 833 del 1978 del
Presidente di una Regione in virtù delle funzioni ad essa attribuite
con riferimento al rapporto tra il Governo e le Autonomie di cui la
Repubblica si compone.
11.2. – Limitando l’esame ai rapporti tra Stato, Regioni e Province
autonome, e senza alcuna pretesa di esaustività, si rileva che spetta
al Presidente del Consiglio dei Ministri il compito di promuovere e
coordinare “l’azione del Governo per quanto attiene ai rapporti
con le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano” (art.
5, comma 3, lett. b) l. 23 agosto 1988, n. 400), nonché di
promuovere lo sviluppo della collaborazione tra Stato, Regioni e
Autonomie locali (art. 4 d.lgs. 30 luglio 1999, n. 303).
Per svolgere tali funzioni, il Presidente si avvale della Presidenza
del Consiglio dei Ministri (art. 2, comma 2, lett. d) d.lgs. n. 303 del
1999), presso la quale è istituito un Dipartimento per gli Affari
regionali (art. 4, comma 2 d.lgs. n. 303 del 1999).
Presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri è costituita la
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le
Province autonome, che dal Presidente del Consiglio è presieduta e
che deve essere consultata sui criteri generali relativi all’esercizio
delle funzioni statali di indirizzo e di coordinamento inerenti ai
rapporti tra lo Stato, le Regioni, le Province autonome e gli enti
infraregionali (art. 12 l. n. 400 del 1988).
Spetta, infine, al Presidente del Consiglio dei Ministri “promuove
le iniziative necessarie per l’ordinato svolgimento dei rapporti tra
Stato, regioni e autonomie locali ed assicura l’esercizio coerente e
coordinato dei poteri e dei rimedi previsti per i casi di inerzia e di
inadempienza” (art. 4, comma 1 d.lgs. n. 303 del 1999).
11.3. – In sintesi, la Presidenza del Consiglio dei Ministri
costituisce il fulcro del necessario coordinamento dell’attività
amministrativa posta in essere dallo Stato e dalle Autonomie di cui
la Repubblica si compone.
In altri termini, in capo ad essa si sintetizzano i vari interessi alla
cura dei quali le amministrazioni pubbliche, statali, regionali e
locali, sono preposte.
Alla Presidenza del Consiglio dei Ministri è attribuito il compito di
assicurare l’esercizio coerente e coordinato dei poteri
amministrativi; cosicché è logica conseguenza ritenere che ad essa
sia assegnato dall’ordinamento anche il potere di agire
giudizialmente, in alternativa all’esercizio delle funzioni di
controllo e sostitutive previsti dalla Costituzione, laddove
l’esercizio dei poteri amministrativi avvenga in maniera
disarmonica o addirittura antitetica.
- – Sussiste anche l’altra condizione dell’azione, invero messa in
dubbio dalla difesa della Regione Calabria, e cioè l’interesse ad
agire.
In effetti, allo stato risultano in vigore sia l’ordinanza del
Presidente della Regione Calabria oggetto di impugnativa, sia il
d.P.C.M. del 26 aprile 2020.
Benché sia stato negato in giudizio che il provvedimento regionale
sia in contrasto con il d.P.C.M., di cui costituirebbe invece mera
specificazione, osserva il Tribunale che il provvedimento
impugnato ammette una nuova e diversa eccezione alla
sospensione delle attività dei servizi di ristorazione. Dunque,
l’ordinanza impugnata ha un contenuto parzialmente difforme dal
d.P.C.M., rispetto al quale si pone in posizione di antinomia.
Sicché, essendo effettivo ed attuale il contrasto tra i due
provvedimenti, sussiste l’interesse all’odierna decisione.
III.3. – Sui controinteressati, gli interventori e la loro posizione
processuale
- – La Presidenza del Consiglio dei Ministri ha, in via
prudenziale, notificato il ricorso a un potenziale controinteressato,
identificato in un imprenditore titolare di un esercizio di
ristorazione, il quale non si è costituito in giudizio.
13.1. – Tuttavia, è evidente che il provvedimento impugnato ha
natura generale, sicché non sono individuabili controinteressati.
Infatti, la figura del controinteressato in senso formale, peculiare
del processo amministrativo, ricorre soltanto nel caso in cui l’atto
sul quale è richiesto il controllo giurisdizionale di legittimità si
riferisca direttamente ed immediatamente a soggetti, singolarmente
individuabili, i quali per effetto di detto atto abbiano già acquistato
una posizione giuridica di vantaggio; per definizione, tale figura
non è ravvisabile nei riguardi dell’atto generale, atteso che esso non
riguarda specifici destinatari, che sia a priori che a posteriori non
sono individuabili (cfr., per tutte, Cons. Stato, Sez. VI, 15 dicembre
2014, n. 6153).
Poiché, dunque, nel caso di specie il terzo destinatario della
notifica è sostanzialmente estraneo alla presente controversia, la
sua mancata costituzione non impedisce la definizione del giudizio.
13.2. – Le medesime considerazioni valgono con riferimento
all’intervento degli operatori del settore della ristorazione.
A fronte di un atto amministrativo generale, essi non rivestono
ruolo di controinteressati, e il loro intervento, da riqualificare in
termini di intervento adesivo ai sensi dell’art. 28, comma 2 c.p.a.,
non comporta alcuna specifica necessità di salvaguardia dei diritti
della difesa, giacché, come infra sarà ricordato, essi debbono
accettare lo stato e il grado in cui si trova il giudizio.
- – Occorre dunque occuparsi degli interventi adesivi spiegati,
onde verificarne l’ammissibilità.
14.1. – L’art. 28, comma 2 c.p.a. stabilisce che chiunque non sia
parte del giudizio e non sia decaduto dall’esercizio delle relative
azioni, ma vi abbia interesse, può intervenire accettando lo stato e
il grado in cui il giudizio si trova.
In via generale, si deve osservare che tale norma recepisce una
consolidata tradizione pretoria, per cui l’intervento in giudizio va
riconosciuto ammissibile anche in presenza di un interesse di mero
fatto, dipendente o riflesso rispetto a quello delle parti.
Gli intervenienti, tuttavia, sono tenuti a chiarire nell’atto di
intervento e a dimostrare quale sia l’interesse che intendono
tutelare (cfr. CGA 3 gennaio 2017, n. 1).
14.2. – Quanto all’intervento ad adiuvandum, è ammesso dalla
giurisprudenza più recente anche da parte del cointeressato, purché
non sia decaduto dall’esercizio delle relative azioni e vi abbia
interesse, senza tuttavia potere ampliare il thema decidendum;
l’intervento del cointeressato è, quindi, ammesso nei limiti della
domanda già proposta, in conformità allo strumento azionato, il
quale comporta per l’interveniente di accettare, ex art. 28 comma 2,
c.p.a . lo stato e il grado in cui il giudizio si trova (Cons. Stato, Sez.
V, 30 ottobre 2017, n. 4973; cfr. anche TAR Campania – Napoli,
Sez. III, 14 gennaio 2019 , n. 201).
14.3. – Alla stregua di tali criteri, si deve ritenere ammissibile
l’intervento degli Enti locali e degli operatori del settore della
ristorazione.
Quanto al Comune di Reggio Calabria, intervenuto ad
adiuvandum, esso ha espressamente dedotto che l’ordinanza di cui
si discorre incide in maniera grave sul diritto alla salute dei
cittadini di cui è Ente esponenziale e che l’auspicato accoglimento
del ricorso comporterà un indiretto ma rilevante vantaggio nei
confronti del Comune di Reggio Calabria. Tanto più che il Sindaco
del Comune ha adottato in data 30 aprile 2020 l’ordinanza
contingibile e urgente n. 44 con cui ha disposto l’applicazione, sul
territorio comunale, esclusivamente delle misure adottate dal
Governo.
Anche il Comune di Tropea, intervenuto ad opponendum, ha
illustrato gli interessi che hanno animato la sua iniziativa
processuale, sebbene questi si pongano in una prospettiva ribaltata
rispetto al Comune di Reggio Calabria. Infatti, il territorio su cui è
costituito l’Ente ha forte vocazione turistica, sicché la chiusura
forzata degli operatori della ristorazione per attenuare i contagi da
COVID-19 ha avuto effetti devastanti sull’intero comparto
economico, essendo state azzerate le presenze turistiche per i mesi
di aprile e maggio. La conservazione del provvedimento
impugnato rappresenta, in questo contesto, un vantaggio per la
comunità di cui il Comune di Tropea è ente esponenziale,
consentendo di riavviare le attività imprenditoriali.
Le medesime considerazioni valgono per il Comune di
Amendolara.
L’interesse fattuale degli operatori della ristorazione alla
conservazione dell’ordinanza regionale impugnata è, dal canto suo,
evidentemente individuabile nella possibilità di riprendere le
attività imprenditoriali.
14.4. – Al contrario, è inammissibile l’intervento del CODACONS
– Coordinamento delle associazioni e dei comitati di tutela
dell’ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori.
In effetti, esso ha depositato in giudizio il proprio Statuto, da cui si
evince che persegue il fine di «tutelare con ogni mezzo legittimo,
ivi compreso il ricorso allo strumento giudiziario, i diritti e gli
interessi dei consumatori ed utenti […] tale tutela si realizza nei
confronti dei soggetti pubblici e privati, produttori e/o erogatori di
beni e servizi, anche al fine di contribuire ad eliminare le
distorsioni del mercato determinate dalla commissione di abusi e
di altre fattispecie di reati contro la P.A.».
Ma non ha specificato quale interesse, sussistente in modo
omogeneo in capo agli associati, l’intervento è inteso a tutelare.
- – Va infine esaminata la sollecitazione della difesa della
Regione Calabria affinché il Tribunale differisca l’udienza
camerale allo scopo di consentirle di prendere posizione sugli atti
di intervento.
Ebbene, poiché gli interventi spiegati, siano essi ad adiuvandum o
ad opponendum, non hanno condotto a un ampliamento
dell’oggetto del giudizio, in nessuno dei suoi aspetti, in quanto un
simile ampliamento è vietato dall’ordinamento processuale, non
sussiste alcuna lesione del diritto di difesa dell’amministrazione
regionale, che ha avuto modo di argomentare su ciascuno dei
motivi di ricorso proposti dalla Presidenza del Consigli dei
Ministri.
IV – Esame dei motivi di ricorso
- – Si può finalmente passare all’esame dei motivi di ricorso.
Nondimeno, il forte interesse che nell’opinione pubblica ha
suscitato l’odierno giudizio giustifica alcune sintetiche
considerazioni di carattere generale.
Non è compito del giudice amministrativo sostituirsi alle
amministrazioni e, dunque, stabilire quale contenuto debbano
avere, all’esito del bilanciamento tra i molteplici interessi pubblici
o privati in gioco, i provvedimenti amministrativi.
Tale principio, valido in via generale, è da affermare ancora con
più forza quando, come nel caso di specie, il provvedimento
amministrativo oggetto di sindacato sia stato adottato dal vertice
politico-amministrativo, dotato di legittimazione democratica in
quanto eletto a suffragio universale, di una delle Autonomie da cui
la Repubblica è formata; e ad impugnarlo sia l’organo di vertice
del potere esecutivo, anch’esso dotato di legittimazione
democratica in quanto sostenuto dalla fiducia delle Camere.
In questa prospettiva, l’operato dell’Autorità giurisdizionale, in
questo caso del giudice amministrativo quale giudice naturale della
funzione pubblica, è meramente tecnica, e finalizzata a verificare la
conformità del provvedimento oggetto di attenzione al modello
legale.
- – Si è già accennato al § 7.1. al contenuto del d.l. n. 19 del
L’art. 1 prevede, per quel che in questa sede rileva, che, allo scopo
di contenere e contrastare i rischi sanitari derivanti dalla diffusione
del virus COVID-19, su specifiche parti del territorio nazionale
ovvero, occorrendo, sulla totalità di esso, possono essere adottate
una o più misure che, secondo principi di adeguatezza e
proporzionalità al rischio effettivamente presente su specifiche
parti del territorio nazionale ovvero sulla totalità di esso, possono
prevedere, tra l’altro, la limitazione o sospensione delle attività di
somministrazione al pubblico di bevande e alimenti, nonché di
consumo sul posto di alimenti e bevande, compresi bar e ristoranti.
Il successivo art. 2, comma 1, attribuisce al Presidente del
Consiglio dei Ministri il potere di emanare, con d.P.C.M., tali
misure.
L’art. 3, comma 1 consente alle Regioni di adottare misure di
efficacia locale «nell’ambito delle attività di loro competenza e
senza incisione delle attività produttive e di quelle di rilevanza
strategica per l’economia nazionale». Ma ciò è possibile solo a
condizione che si tratti di interventi destinati a operare nelle more
dell’adozione di un nuovo d.P.C.M.; che si tratti di interventi
giustificati da «situazioni sopravvenute di aggravamento del
rischio sanitario» proprie della Regione interessata; che si tratti di
misure «ulteriormente restrittive» delle attività sociali e produttive
esercitabili nella Regione.
Il comma 3 dell’art 3, infine, precisa che «le disposizioni di cui al
presente articolo si applicano altresì agli atti posti in essere per
ragioni di sanità in forza di poteri attribuiti da ogni disposizione di
legge previgente».
- – Il Tribunale ritiene che non ci siano gli estremi per
sospendere il giudizio e sollevare d’innanzi alla Corte
costituzionale questione di legittimità del decreto legge il cui
contenuto è stato illustrato.
18.1. – Innanzitutto, va ricordato che l’odierna controversia
riguarda esclusivamente la possibilità di svolgere, dal 4 maggio
2020 al 17 maggio 2020, l’attività di ristorazione con servizio al
tavolo.
In proposito, si osserva che l’art. 41 Cost., nel riconoscere libertà
di iniziativa economica, prevede che essa non possa svolgersi in
modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità
umana.
Come noto, non è prevista una riserva di legge in ordine alle
prescrizioni da imporre all’imprenditore allo scopo di assicurare
che l’iniziativa economica non sia di pregiudizio per la salute
pubblica, sicché tali prescrizioni possono essere imposte anche con
un atto di natura amministrativa.
Non si coglie dunque un contrasto, in particolare nell’attuale
situazione di emergenza sanitaria, tra la citata norma costituzionale
e una disposizione legislativa che demandi al Presidente del
Consiglio dei Ministri di disporre, con provvedimento
amministrativo, limitazione o sospensione delle attività di
somministrazione al pubblico di bevande e alimenti, nonché di
consumo sul posto di alimenti e bevande, compresi bar e ristoranti,
allo scopo di affrontare l’emergenza sanitaria dovuta alla
diffusione del virus COVID-19.
Tanto più che, come rivela l’esame dell’art. 1 del d.l. n. 19 del
2020, il contenuto del provvedimento risulta predeterminato
(«limitazione o sospensione delle attività di somministrazione al
pubblico di bevande e alimenti, nonché di consumo sul posto di
alimenti e bevande (…)»), mentre alla discrezionalità dell’Autorità
amministrativa è demandato di individuare l’ampiezza della
limitazione in ragione dell’esame epidemiologico.
18.2. – Non vi può essere dubbio che lo Stato rinvenga la
competenza legislativa all’adozione del decreto de quo innanzitutto
nell’art. 117, comma 2, lett. q) Cost., che gli attribuisce
competenza esclusiva in materia di «profilassi internazionale».
Ma la competenza legislativa si rinviene anche nel terzo comma
del medesimo art. 117 Cost., che attribuisce allo Stato competenza
concorrente in materia di «tutela della salute» e «protezione
civile».
18.3. – A tale ultimo proposito, occorrono alcune ulteriori
osservazioni, che traggono le mosse dal duplice rilievo critico
secondo cui l’impianto normativo delineato dal d.l. n. 19 del 2020
comporterebbe un’inammissibile delega al Presidente del
Consiglio dei Ministri del potere di restringere le libertà
costituzionali dei cittadini e comporterebbe un’alterazione alla
ripartizione dei compiti amministrativi delineata dall’art. 118 Cost.
Limitando, per evidenti ragioni, il campo dell’analisi alla sola
possibilità di limitare o sospendere le attività di somministrazione
al pubblico di cibi e bevande, il Tribunale ritiene di dover
innanzitutto ribadire quanto già anticipato al § 18.1., e cioè che è la
legge a predeterminare il contenuto della restrizione alla libertà di
iniziativa economica, demandando ad un atto amministrativo la
commisurazione dell’estensione di tale limitazione.
Ciò posto, il fatto che la legge abbia attribuito al Presidente del
Consiglio dei Ministri il potere di individuare in concreto le misure
necessarie ad affrontare un’emergenza sanitaria trova
giustificazione nell’art. 118, comma 1 Cost.: il principio di
sussidiarietà impone che, trattandosi di emergenza a carattere
internazionale, l’individuazione delle misure precauzionali sia
operata al livello amministrativo unitario.
18.4. – Ma, una volta accertato che l’individuazione nel Presidente
del Consiglio dei Ministri dell’Autorità che deve individuare le
specifiche misure necessarie per affrontare l’emergenza è
conforme al principio di sussidiarietà di cui all’art. 118 Cost., deve
altresì essere affermato che ciò giustifica l’attrazione in capo allo
Stato della competenza legislativa, pur in materie concorrenti quali
la «tutela della salute» e la «protezione civile».
È noto, infatti, che la Corte costituzionale ha ritenuto (sin dalla
sentenza dell’1 ottobre 2003, n. 303, con cui ha per la prima volta
teorizzato la c.d. chiamata in sussidiarietà) che l’avocazione della
funzione amministrativa si deve accompagnare all’attrazione della
competenza legislativa necessaria alla sua disciplina, onde
rispettare il principio di legalità dell’azione amministrativa, purché
all’intervento legislativo per esigenze unitarie si accompagnino
forme di leale collaborazione tra Stato e Regioni nel momento
dell’esercizio della funzione amministrativa (cfr., sul punto, Corte
cost. 22 luglio 2010, n. 278).
Nel caso di specie, conformemente al principio enucleato dalla
Corte costituzionale, l’art. 2 d.l. n. 19 del 2020 prevede
espressamente che il Presidente del Consiglio dei Ministri adotti i
decreti sentiti – anche – i Presidenti delle Regioni interessate, nel
caso in cui riguardino esclusivamente una regione o alcune
specifiche regioni, ovvero il Presidente della Conferenza delle
Regioni e delle Province autonome, nel caso in cui riguardino
l’intero territorio nazionale.
18.5. – Quanto illustrato ai §§ che precedono esclude che si possa
affermare che nel caso di specie siano stati attribuiti
all’amministrazione centrale dello Stato poteri sostituitivi non
previsti dalla Costituzione.
L’art. 120, comma 2 Cost., invero, prevede che «il Governo può
sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle
Province e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e
trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di
pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero
quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità
economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai
confini territoriali dei governi locali».
In tali casi deve essere seguita la procedura prevista dall’art. 8 l. 5
giugno 2003, n. 131.
Ma, come supra specificato, nel caso di specie non vi è stato un
intervento sostitutivo dello Stato, bensì avocazione delle funzioni
amministrative in ragione del principio di sussidiarietà,
accompagnata dalla chiamata in sussidiarietà della funzione
legislativa.
18.6. – Va conclusivamente affermato che le questioni di
legittimità costituzionale del d.l. n. 19 del 2020 sollevate appaiono
manifestamente infondate, onde non occorre rimetterle alla Corte
costituzionale.
- – Il d.P.C.M. 26 aprile 2020, dal canto suo, non è un atto a
carattere normativo, bensì un atto amministrativo generale.
Esso non può essere oggetto di disapplicazione da parte del giudice
amministrativo, essendo piuttosto onere del soggetto interessato
promuovere tempestivamente l’azione di annullamento.
- – Giunti a questo punto, emerge chiaramente l’illegittimità
dell’ordinanza del Presidente della Regione Calabria denunciata
con il primo motivo di ricorso.
Spetta infatti al Presidente del Consiglio dei Ministri individuare le
misure necessarie a contrastare la diffusione del virus COVID-19,
mentre alle Regioni è dato intervenire solo nei limiti delineati
dall’art. 3, comma 1 d.l. n. 19 del 2020, che però nel caso di specie
è indiscusso che non risultino integrati.
Né l’ordinanza di cui si discute potrebbe trovare un fondamento
nell’art. 32 l. n. 833 del 1978.
Infatti, come correttamente messo in evidenza dall’Avvocatura
dello Stato, i limiti al potere di ordinanza del Presidente della
Regione delineati dall’art. 3, comma 1 d.l. n. 19 del 2020 valgono,
ai sensi del successivo terzo comma, per tutti gli «atti posti in
essere per ragioni di sanità in forza di poteri attribuiti da ogni
disposizione di legge previgente».
- – È fondato, nei limiti di seguito specificati, anche il secondo
motivo di ricorso.
Invero, l’ordinanza regionale motiva la nuova deroga alla
sospensione dell’attività di ristorazione, mediante l’autorizzazione
al servizio al tavolo, con il mero riferimento del rilevato valore di
replicazione del virus COVID-19, che sarebbe stato misurato in un
livello tale da indicare una regressione dell’epidemia.
È però ormai fatto notorio che il rischio epidemiologico non
dipende soltanto dal valore attuale di replicazione del virus in un
territorio circoscritto quale quello della Regione Calabria, ma
anche da altri elementi, quali l’efficienza e capacità di risposta del
sistema sanitario regionale, nonché l’incidenza che sulla diffusione
del virus producono le misure di contenimento via via adottate o
revocate (si pensi, in proposito, alla diminuzione delle limitazioni
alla circolazione extraregionale).
Non a caso, le restrizioni dovute alla necessità di contenere
l’epidemia sono state adottate, e vengono in questa seconda fase
rimosse, gradualmente, in modo che si possa misurare, di volta in
volta, la curvatura assunta dall’epidemia in conseguenza delle
variazioni nella misura delle interazioni sociali.
Un tale modus operandi appare senza dubbio coerente con il
principio di precauzione, che deve guidare l’operato dei poteri
pubblici in un contesto di emergenza sanitaria quale quello in atto,
dovuta alla circolazione di un virus, sul cui comportamento non
esistono certezze nella stessa comunità scientifica.
Si badi, che detto principio, per cui ogni qual volta non siano
conosciuti con certezza i rischi indotti da un’attività potenzialmente
pericolosa, l’azione dei pubblici poteri debba tradursi in una
prevenzione anticipata rispetto al consolidamento delle conoscenze
scientifiche (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 3 ottobre 2019, n. 6655),
deve necessariamente presidiare un ambito così delicato per la
salute di ogni cittadino come è quello della prevenzione (Corte
cost. 18 gennaio 2018, n. 5).
È chiaro che, in un simile contesto, ogni iniziativa volta a
modificare le misure di contrasto all’epidemia non possono che
essere frutto di un’istruttoria articolata, che nel caso di specie non
sussiste.
- – Va infine rilevata la fondatezza anche dell’ultimo motivo di
ricorso.
Sul punto, occorre ricordare come la violazione del principio di
leale collaborazione costituisca elemento sintomatico del vizio
dell’eccesso di potere (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen. 14 dicembre
2001, n. 9).
Nel caso di specie, non risulta che l’emanazione dell’ordinanza
oggetto di impugnativa sia stata preceduta da qualsivoglia forma di
intesa, consultazione o anche solo informazione nei confronti del
Governo.
Anzi, il contrasto nei contenuti tra l’ordinanza regionale e il
d.P.C.M. 26 aprile 2020 denota un evidente difetto di
coordinamento tra i due diversi livelli amministrativi, e dunque la
violazione da parte della Regione Calabria del dovere di leale
collaborazione tra i vari soggetti che compongono la Repubblica,
principio fondamentale nell’assetto di competenze del titolo V
della Costituzione.
- – In conclusione, per tutte le ragioni esposte l’ordinanza, nella
parte oggetto di impugnativa, deve essere annullata.
La novità, la complessità, la delicatezza della tematiche trattate
giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese e
competenze di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione
Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe
proposto:
- a) dichiara inammissibile l’intervento di CODACONS –
Coordinamento delle associazioni e dei comitati di tutela
dell’ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori;
- b) accoglie il ricorso e, per gli effetti, annulla l’ordinanza del
Presidente della Regione Calabria del 29 aprile 2020, n. 37, nella
parte in cui, al suo punto 6, dispone che, a partire dalla data di
adozione dell’ordinanza medesima, sul territorio della Regione
Calabria, è «consentita la ripresa delle attività di Bar, Pasticcerie,
Ristoranti, Pizzerie, Agriturismo con somministrazione esclusiva
attraverso il servizio con tavoli all’aperto»;
- c) compensa tra le parti le spese e le competenze di lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità
amministrativa.
Così deciso in Catanzaro nella camera di consiglio del giorno 9
maggio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Giancarlo Pennetti, Presidente
Francesco Tallaro, Primo Referendario, Estensore
Francesca Goggiamani, Referendario
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE Francesco Tallaro Giancarlo Pennetti
IL SEGRETARIO