Carenza medici e ‘deserti sanitari’: la Calabria tra regioni più colpite

Anna Franchino

La carenza di medici e infermieri attraversa tutta l’Italia, ma nelle zone periferiche delle aree interne assume i contorni di una “desertificazione sanitaria”. Se il sovraffollamento negli studi dei pediatri è maggiore in alcune province del Nord mentre la carenza di ginecologici ospedalieri a Caltanissetta è 17 volte peggiore rispetto a Roma. Sono 39 le province più in sofferenza, e si concentrano in 9 regioni: Lombardia, Piemonte, Friuli Venezia Giulia, Calabria, Veneto, Emilia Romagna, Trentino Alto Adige e Lazio. Sono dei alcuni dati del Report presentato da Cittadinanzattiva, nel corso dell’evento ‘Bisogni di salute nelle aree interne, tra desertificazione sanitaria e PNRR’, svoltosi a Roma presso la Sala di Rappresentanza in Italia della Commissione Europea. L’analisi ha utilizzato dati ufficiali forniti dal Ministero della Salute relativi al 2020 e rientra nell’ambito del progetto europeo AHEAD ‘Action for Health and Equity: Addressing Medical Deserts’, finanziato da EU4Health per trovare soluzioni a questi ‘deserti sanitari’. Andando a vedere nel dettaglio, in provincia di Asti ogni pediatra di famiglia segue 1.813 bambini a fronte di una media nazionale di 1.061. A Bolzano ogni medico di medicina generale segue in media 1.539 cittadini a fronte di una media nazionale di 1.245 pazienti. Nella provincia di Caltanissetta c’è un ginecologo ospedaliero ogni 40.565 donne mentre Roma vanta la situazione migliore, con uno per 2.292. Considerando invece i cardiologi ospedalieri, la situazione nella provincia autonoma di Bolzano è 70 volte peggiore rispetto a Pisa, con un professionista ogni 224.706 abitanti a fronte di uno ogni 3.147. “Mancano dati certi, aggiornati e facilmente reperibili sulla carenza di personale sanitario – afferma Anna Lisa Mandorino, segretaria generale di Cittadinanzattiva – e questo non agevola la programmazione degli interventi. Le riforme previste dal PNRR potranno avere gli effetti sperati se all’investimento su case e ospedali di comunità si affiancherà un adeguato investimento sul personale”. Dai paesini dell’appennino o alpini a quelli della costa calabrese, fino quelli dell’entroterra sardo e ligure, le aree interne rappresentano circa il 53% dei Comuni italiani (4.261), ospitano un quarto della popolazione, pari a oltre 13,5 milioni di abitanti. “Sono caratterizzate da carenza di servizi, difficoltà di accesso alle scuole e alle cure. Si tratta – ha detto Sabrina Lucatelli, Direttrice “Riabitare l’Italia”, già coordinatore del Comitato tecnico aree Interne di Strategia Nazionale per le Aree Interne (Snai) – di zone molto diversificate tra loro e per una volta il sud non sta peggio del nord. Il riparto del Fondo Sanitario Nazionale dovrebbe tener conto anche della povertà sanitaria dei territori. E servirebbero dei Livelli essenziali di Assistenza in grado di misurare anche la qualità delle cure territoriali”. Tenendo presente le 39 province (in pratica una su tre) dove gli squilibri tra numero professionisti sanitari e cittadini sono più marcati, sono 9 le regioni più colpite dalla carenza: Lombardia (Bergamo, Brescia, Como, Lecco, Lodi, Milano) e Piemonte (Alessandria, Asti, Cuneo, Novara, Torino, Vercelli) con 6 province; Friuli Venezia Giulia (Gorizia, Pordenone, Udine, Trieste) e Calabria (Cosenza, Crotone, Reggio Calabria, Vibo Valentia) con 4 province. Seguono Veneto (Treviso, Venezia, Verona), Liguria (Imperia, La Spezia, Savona) ed Emilia Romagna (Parma, Piacenza, Reggio Emilia) con 3 province ciascuna; Trentino Alto Adige (PA di Bolzano e PA Trento) e Lazio (Latina e Viterbo) con due. Un aiuto importante conto la desertificazione sanitaria, ha detto Francesco Gabrielli, direttore Centro nazionale per la telemedicina dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss), “può arrivare dall’uso di dispositivi tecnologici per migliorare la riabilitazione, il monitoraggio e il consulto medico a distanza. Ma questa presuppone che la banda larga venga portata nelle aree interne e poco raggiungibili del Paese e che gli operatori sanitari accolgano la necessità di una formazione continua, per poter utilizzare al meglio strumenti molto utili ma in continua evoluzione”.

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