Era il 2 febbraio del 2018 quando scatto’ l’operazione denominata “Cloaca Maxima”, coordinata dalla procura di Cosenza diretta da Mario Spagnuolo, che portò al sequestro del depuratore consortile “Valle Crati” in località Coda di Volpe nella zona industriale di Rende. Sei persone furono iscritte nel registro degli indagati con l’accusa di aver sversato liquami direttamente nel fiume Crati. Oggi il direttore dell’impianto e 5 operai sono stati rinviati a giudizio dal gup del tribunale di Cosenza. I liquami prodotti dal depuratore, secondo le accuse finivano nelle acque del fiume Crati senza essere trattati in modo conforme alla legge. Ne derivava una condizione di grave inquinamento, con conseguenti pericoli per la salute pubblica. Nel corso dell’inchiesta gli inquirenti hanno accertato che, attraverso l’uso illegale dei bypass, l’ente gestore del depuratore creava meno fanghi di risulta, risparmiando così sullo smaltimento. I bypass, sempre secondo le accuse, venivano aperti su indicazione del responsabile della struttura e così l’impianto non depurava, ma inquinava. A documentare le condotte illecite numerose intercettazioni telefoniche e riprese video. In particolare gli operai, seguendo le direttive impartite, usando due bypass, uno generale in testa all’impianto e uno posto a monte della sezione ossidativa, sversavano ripetutamente quantitativi di liquami, senza effettuare alcun tipo di trattamento depurativo. I cinque operai e il direttore dell’impianto sono accusati, in concorso tra loro, di aver cagionato una compromissione e un deterioramento significativi e misurabili delle acque del fiume Crati e del relativo ecosistema, alterandone la composizione chimica , fisica, batteriologica, l’aspetto esteriore, il colore e l’odore.