Beni per un valore di circa un milione di euro sono stati sequestrati nel corso dell’operazione, denominata “Helianthus”, condotta dalla polizia contro la cosca Labate di Reggio Calabria tra Reggio, Roma, e Cosenza. L’inchiesta della Dda, sviluppata con un’articolata indagine condotta dalla Squadra mobile reggina, secondo gli investigatori, ha consentito di ricostruire gli assetti e le dinamiche criminali del clan Labate, una delle più temibili e potenti articolazioni della ‘ndrangheta unitaria, che controlla il popoloso quartiere Gebbione. Il sequestro ha riguardato alcune aziende nella disponibilità degli appartenenti alla cosca, operanti nel settore alimentare e della distribuzione di carburanti. L’inchiesta coordinata dalla Dda di Reggio Calabria ha fatto luce sugli affari economici della cosca Labate, svelando un certo dinamismo in alcuni settori illeciti come quello delle scommesse on line, delle slot machine e dello sfruttamento delle corse clandestine di cavalli. La cosca, secondo le indagini, manteneva tuttavia un elevato interesse per quello che rappresenta il core business delle attività criminali dei “Ti Mangiu”, il sistematico ricorso ad attività estorsive nei confronti di operatori economici, commercianti e titolari di piccole, medie e grandi imprese, specialmente di quelli impegnati nell’esecuzione di appalti nel settore dell’edilizia privata nell’area ricadente sotto il dominio della consorteria mafiosa. Estorsioni per alcune centinaia di migliaia di euro sono state imposte, con pesanti minacce, agli imprenditori durante i lavori di esecuzione di complessi immobiliari nel quartiere Gebbione controllato capillarmente dai Labate. Ad alcuni imprenditori veniva anche imposto con la forza dell’intimidazione l’acquisto di prodotti da aziende nella disponibilità del clan. Ad un commerciante è stato impedito di aprire una pescheria nel quartiere perché dava fastidio al titolare di un analogo esercizio commerciale, affiliato alla cosca. Alcuni affermati imprenditori reggini del settore edile e immobiliare, dopo un’iniziale ritrosia per il timore di subire rappresaglie, hanno collaborato, per la prima volta, con i magistrati della Dda di Reggio Calabria. E’ quanto emerge dall’operazione “Helianthus” condotta dalla polizia contro la cosca Labate di Reggio Calabria. Gli imprenditori hanno denunciato di essere vittime di ripetute estorsioni consistenti nel pagamento di somme di denaro, anche nell’ordine di 200 mila euro, ad esponenti di rilievo e luogotenenti del clan Labate o nell’imposizione dell’acquisto di prodotti dell’edilizia in attività commerciali nella disponibilità del clan. Tra gli elementi di vertice e luogotenenti della cosca figurano il boss Pietro Labate a cui il provvedimento restrittivo è stato notificato in carcere essendo detenuto per altra causa, al fratello Antonino reggente della cosca durante il periodo di latitanza di Pietro, al cognato (di entrambi) Rocco Cassone e ad altre nuove leve della consorteria. Le indagini della Polizia di Stato, coordinate dalla Dda di Reggio Calabria, sono state condotte sulla base di intercettazioni e dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, grazie alle quali è stato possibile focalizzare le vicende criminali che hanno portato al potenziamento della cosca. Oggi, secondo gli investigatori, il clan è una articolazione che trova forza nei legami di sangue che uniscono i componenti di vertice ad altre potenti cosche e nei solidi rapporti di alleanza con famiglie ‘ndranghetistiche dei tre mandamenti.
‘Ndrangheta: operazione contro cosca Labate, 14 arresti
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